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Corte Suprema di Cassazione: Il dipendente che inoltra il video della chat di gruppo al datore di lavoro viola il principio di segretezza della corrispondenza tra privati.

Un dipendente che inoltra al datore di lavoro un video condiviso in una chat privata su WhatsApp tra colleghi viola il principio costituzionale della segretezza delle comunicazioni tra privati. La conseguenza di questa divulgazione ha portato al licenziamento dell’autrice del video, ma la Corte di Cassazione ha evidenziato come tale azione configuri una violazione del diritto alla riservatezza tutelato dall’articolo 15 della Costituzione.

I messaggi, le immagini e i video condivisi all’interno di una chat di gruppo chiusa tra dipendenti rientrano nella sfera della corrispondenza privata. Di conseguenza, quando un membro della chat decide di trasmettere quei contenuti a soggetti esterni, come il datore di lavoro, viene meno la tutela della riservatezza, in violazione delle norme sulla protezione delle comunicazioni personali.

Anche se il mezzo di comunicazione utilizzato è un’applicazione di messaggistica istantanea come WhatsApp, il principio non cambia: ciò che conta è che l’accesso ai contenuti fosse limitato esclusivamente ai partecipanti al gruppo. La protezione della segretezza della corrispondenza, infatti, si estende a qualsiasi sistema che consenta di restringere la visibilità dei contenuti a una cerchia ristretta di persone, come avviene nei gruppi privati di chat.

Questi principi sono stati ribaditi dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 5334 del 28 febbraio 2025, relativa al caso di una dipendente di un negozio di lusso, licenziata in tronco per aver condiviso in chat un video che riprendeva una cliente con una corporatura robusta, con il chiaro intento di deriderne l’aspetto fisico.

Il filmato era stato condiviso nella chat privata tramite il numero di telefono personale della dipendente, ma il datore di lavoro ne era venuto a conoscenza perché un’altra collega, anch’essa membro del gruppo, lo aveva inoltrato all’azienda.

In un primo momento, la Corte d’Appello di Venezia aveva confermato la legittimità del licenziamento, ritenendo che il comportamento della dipendente fosse gravemente lesivo sia dell’immagine del negozio sia della dignità della cliente. Tuttavia, la Cassazione ha adottato una posizione diversa, sottolineando che il video era stato condiviso esclusivamente all’interno di un gruppo privato composto da 15 dipendenti e che il carattere riservato della chat esprimeva la volontà degli iscritti di mantenere la conversazione confidenziale, escludendo la possibilità di una divulgazione esterna.

Sulla base di questi elementi, la Cassazione ha concluso che la condivisione del video all’interno della chat privata, sebbene discutibile nei contenuti, non poteva costituire giusta causa di licenziamento.

Al contrario, la violazione della segretezza della corrispondenza è stata commessa dalla collega che ha inoltrato il video al datore di lavoro, divulgando un contenuto che avrebbe dovuto rimanere confinato all’interno del gruppo ristretto. La sua azione non solo ha infranto il diritto alla segretezza delle comunicazioni tra privati, ma ha anche causato un danno diretto alla dipendente poi licenziata.
 
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