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COMUNICAZIONI ELETTRONICHE

Corte di Cassazione: la conciliazione ai Co.Re.Com non è condizione di procedibilità obbligatoria per l'ingiunzione di pagamento nelle liti delle telecomunicazioni.

Il ricorso per decreto ingiuntivo del gestore di servizi telefonici finalizzato ad ottenere il pagamento da un utente inadempiente il pagamento dei corrispettivi fatturati per servizi di telefonia, non è soggetto alla condizione di procedibilità del tentativo obbligatorio di conciliazione.

È il principio affermato dalla terza sezione civile della Cassazione con la sentenza n. 25611 depositata il 14 dicembre 2016 (presidente Vivaldi, estensore Olivieri) che annulla la pronuncia della Corte di appello di Roma che diversamente aveva ritenuto che la forma del rito monitorio non fosse ostativa al previo esperimento del tentativo di conciliazione dinanzi al Corecom territorialmente competente.

Nel caso di specie a fronte del mancato pagamento di fatture per servizi di telefonia mobile (per oltre 44mila euro) il gestore, dopo aver ottenuto il decreto ingiuntivo, si era visto dichiarare in primo ed in secondo grado la improcedibilità con la revoca del decreto stesso (così intendendo sostanzialmente la norma che impone la conciliazione quale condizione di proponibilità della domanda giudiziale).

Secondo i giudici di legittimità invece la speciale normativa primaria di riferimento (articolo 1, comma 11, d.lgs. 249/1997, la c.d. legge Maccanico, ed il d.lgs. 259/2003 Codice delle comunicazioni elettroniche) non consente all'Autorità per le comunicazioni di definire «l'ambito applicativo delle condizioni di procedibilità in relazione a determinati atti del processo od in relazione a tipologie di atti costituenti esercizio del diritto di difesa».

Pertanto, la normativa attuativa adottata dall'Agcom (delibera 182/02 e delibera 173/07) ove è regolamentato il tentativo obbligatorio di conciliazione nelle liti in materia di telecomunicazioni non può eccedere i limiti di competenza fissati dalla legge; a ciò consegue la disapplicazione della norma che assoggetta anche l'azione monitoria alla condizione di procedibilità.

Secondo il Supremo collegio – che richiama i principi affermati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 376/2000 - poiché l'obbligatorietà del tentativo di risoluzione extragiudiziaria della controversia, comporta un inevitabile effetto dilatorio della tutela giurisdizionale, dovuto ai tempi - per quanto ridotti - di svolgimento della procedura conciliativa, lo stesso deve necessariamente cedere di fronte ad immediate esigenze di tutela anticipata cui provvedono le “misure cautelari”, in quanto strumentali ad evitare un attuale pregiudizio grave ed irreparabile al diritto; quanto ad altri “procedimenti sommari”, diretti a fornire spedita tutela al diritto allo scopo di evitare lo svolgimento del giudizio di merito, occorre verificare, caso per caso, se gli obiettivi cui è preordinato il tentativo obbligatorio di conciliazione sono – egualmente o meglio- già assicurati dalle modalità di svolgimento di tali procedimenti giurisdizionali (rendendosi quindi inutile un ulteriore aggravio di tempi connessi alla procedura conciliativa) come nel caso esaminato, ovvero se, invece, la procedura conciliativa, intesa a pervenire ad un accordo stragiudiziale sostitutivo della decisione di merito adottata all'esito del giudizio, risulti oggettivamente incompatibile con la struttura stessa di detti procedimenti.

Ne deriva che «il giudice di primo grado o di appello, qualora dichiari la temporanea improcedibilità della opposizione a decreto ingiuntivo, deve sospendere il processo ed assegnare, ove necessario, alle parti, il termine per l'esperimento dello stesso, restando salvi, al momento della prosecuzione del processo, gli effetti sostanziali e processuali dell'atto introduttivo del giudizio di merito proposto dall'opponente».

(Fonte: Il Quotidiano Giuridico de Il Sole 24 Ore – Autore: Marco Marinaro – Titolarità dei contenuti: Gruppo Il Sole 24 Ore RCS).
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