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TUTELA DEI DATI PERSONALI

Corte di Cassazione: condizioni per il consenso alla ricezione di Newsletters commerciali.

l consumatore deve conoscere con certezza gli effetti del consenso prestato quando accetta la ricezione di newsletter pubblicitarie.

Con sentenza n. 17278 del 2 luglio 2018, la Corte di cassazione, accogliendo il ricorso presentato dal Garante privacy, ha fornito indicazioni circa la tutela dei dati personali nella diffusa pratica di inviare newsletter gratuite che rimandano poi alla ricezione di ulteriori informazioni commerciali.

Nella specie, una società offriva tramite portale un servizio di newsletter; il cui accesso avveniva attraverso l’inserimento da parte dell’utente dell’indirizzo e-mail in apposito form, che alla fine conteneva una casella da spuntare per dare il consenso al trattamenti dei dati personali. Se non veniva spuntata la casella, appariva un messaggio che avvertiva del mancato accesso al servizio. Nella pagina non si specificava però il contenuto del trattamento dei dati; la normativa sulla privacy era raggiungibile solamente attraverso un link ipertestuale, dove veniva specificato, dopo aver acceduto, che i dati personali comunicati con l’adesione alla newsletter potevano essere utilizzati anche per l’invio di comunicazioni promozionali e informazioni commerciali da parte di terzi.

In discussione è l’articolo 23 del codice della privacy, fondamentale per la protezione dei dati personali, dove si specifica che il consenso è condizione indispensabile per la liceità del trattamento dei dati.

E, ricorda la Corte, tale consenso, lungi dall’essere quello generale richiesto a fini negoziali, deve essere informato ossia diretto a far conoscere all’interessato gli effetti di quanto accettato. Come tale, detto consenso non ammette compressioni di alcun genere e “non sopporta di essere sia pure marginalmente di essere perturbato non solo per effetto di errore, violenza o dolo” ma neppure da “stratagemmi, sotterfugi, slealtà, doppiezze o malizie comunque adottate dal titolare del trattamento”.

Per i giudici di legittimità, infatti, con riguardo ai dati personali, si deve fare riferimento ad una nozione di «consenso informato» (mutuata dall’ambito sanitario) che non ammette «compressioni di alcun genere» e «non sopporta di essere perturbato» non solo da «errore, violenza o dolo» ma neppure da «stratagemmi, sotterfugi, slealtà, doppiezze o malizie comunque adottate dal titolare del trattamento». «Nulla impedisce – prosegue la decisione - al gestore del sito (beninteso in un caso come quello in questione, concernente un servizio né infungibile, né irrinunciabile), di negare il servizio offerto a chi non si presti a ricevere messaggi promozionali, mentre ciò che gli è interdetto è utilizzare i dati personali per somministrare o far somministrare informazioni pubblicitarie a colui che non abbia la volontà di riceverli». L'utente, infatti, deve sempre essere «con certezza posto in condizione di raffigurarsi, in maniera inequivocabile, gli effetti del consenso prestato al trattamento dei suoi dati». Se esso, dunque, come nel caso specifico, «comporta una pluralità di effetti … va singolarmente prestato in riferimento a ciascuno di essi». Non può perciò dirsi «specificamente» e «liberamente» prestato il consenso i cui effetti «non siano indicati con completezza accanto ad una specifica “spunta”», ma siano invece descritti in altra pagina web linkata alla prima, «senza che vi sia contezza che l'interessato l'abbia consultata». In definitiva, per essere “specifico”, il consenso deve essere riferito «ad un trattamento chiaramente individuato, il che comporta la necessità, almeno, dell'indicazione dei settori merceologici o dei servizi cui i messaggi pubblicitari saranno riferiti».

Detto ciò, il sistema utilizzato dalla società per inviare informazioni commerciali dopo aver acquisito il consenso per l’inoltro di newsletter non è in linea con le disposizioni della privacy, in quanto è vietato somministrare informazioni pubblicitarie al soggetto che non ha manifestato effettivamente al volontà di riceverli.

 Il consenso, poi, deve esser specifico: l'utente, deve sempre sapere con certezza, in maniera inequivocabile, gli effetti del consenso prestato al trattamento dei suoi dati. Quindi, se il consenso comporta una pluralità di effetti, va prestato in riferimento a ciascuno di essi. Nel caso di specie, non può sostenersi che il consenso sia stato specificamente e liberamente prestato se gli effetti non sono stati indicati con completezza accanto ad una casella da spuntare.

In merito i giudici forniscono il seguente principio di diritto: “in tema di trattamento dei dati personali, la previsione dell'articolo 23 del Codice della privacy, nello stabilire che il consenso è validamente prestato solo se espresso liberamente e specificamente in riferimento ad un trattamento chiaramente individuato, consente al gestore di un sito internet, il quale somministri un servizio fungibile, cui l'utente possa rinunciare senza gravoso sacrificio (nella specie servizio di newsletter su tematiche legate alla finanza, a fisco, al diritto e al lavoro), di condizionare la fornitura del servizio al trattamento dei dati per finalità pubblicitarie, sempre che il consenso sia singolarmente ed inequivocabilmente prestato in riferimento a tale effetto, il che comporta altresì la necessità, almeno, dell'indicazione dei settori merceologici o dei servizi cui i messaggi pubblicitari saranno riferiti”.

(Corte di Cassazione - Sentenza n. 17278 del 2 Luglio 2018).

(Fonte: sito web eDotto - Autore: Cinzia Pichirallo)

 

 

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