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TUTELA DEI DATI PERSONALI

Corte di Giustizia UE: la pratica c.d. di Inbox advertising costituisce un uso della email a fini di commercializzazione diretta ai sensi della direttiva 2002/58.

La Städtische Werke Lauf a.d Pegnitz GmbH (in prosieguo: la «StWL») e la eprimo GmbH sono due fornitori di energia elettrica concorrenti. Su richiesta della eprimo, un’agenzia di pubblicità ha diffuso annunci pubblicitari, consistenti nella visualizzazione di messaggi-immagine (banner) nelle caselle di posta elettronica degli utenti del servizio di posta elettronica gratuito T-Online. Detti messaggi comparivano non appena gli utenti del servizio di posta elettronica aprivano le loro caselle di posta in arrivo, e tanto gli utenti interessati quanto i messaggi visualizzati erano scelti in modo aleatorio (attività pubblicitaria detta «Inbox Advertising»).

I medesimi si distinguevano visivamente dall’elenco degli altri messaggi di posta elettronica dell’utente dell’account solo per il fatto che la data era sostituita dalla dicitura «Anzeige» (annuncio), che non era menzionato alcun mittente e che il testo appariva su fondo grigio. La rubrica «Oggetto» corrispondente a tale avviso di messaggio conteneva un testo destinato alla promozione di prezzi vantaggiosi per i servizi di elettricità e il gas. La StWL ha ritenuto che la pratica pubblicitaria in parola, la quale comporta l’utilizzo della posta elettronica senza il previo consenso espresso del destinatario, fosse contraria alle norme in materia di concorrenza sleale. Di conseguenza, la StWL ha proposto un’azione inibitoria contro la eprimo dinanzi al Landgericht Nürnberg-Fürth (Tribunale del Land, Nuremberg-Fürth, Germania). Detto giudice ha accolto la domanda della StWL e ha ingiunto alla eprimo di cessare la diffusione, a consumatori finali, di una siffatta pubblicità in quanto costituiva una molestia inaccettabile ed era ingannevole.

A seguito dell’appello interposto dalla eprimo dinanzi all’Oberlandesgericht Nürnberg (Tribunale superiore del Land, Norimberga, Germania), tale giudice ha ritenuto che l’attività pubblicitaria in discussione non costituisse, alla luce del diritto della concorrenza, una pratica commerciale illecita. Investito dalla StWL di un ricorso per Revision, e ritenendo che l’accoglimento di tale ricorso dipenda dall’interpretazione del diritto dell’Unione, il Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia, Germania) ha sottoposto alla Corte alcune questioni pregiudiziali. Detto giudice chiede in particolare alla Corte di pronunciarsi sul punto se e, eventualmente, a quali condizioni possa essere ritenuta compatibile con le pertinenti disposizioni delle direttive 2002/58 e 2005/29 una pratica in forza della quale dei messaggi pubblicitari compaiono nella casella di posta in arrivo dell’utente di un servizio di posta elettronica fornitogli a titolo gratuito e finanziato attraverso la pubblicità pagata dagli inserzionisti.

In primo luogo, la Corte ricorda che la direttiva 2002/58 mira segnatamente a proteggere gli abbonati da interferenze nella loro vita privata mediante comunicazioni indesiderate a scopo di commercializzazione diretta, in particolare mediante dispositivi automatici di chiamata, telefax o posta elettronica, compresi i messaggi SMS. Detto obiettivo deve essere garantito indipendentemente dalle tecnologie utilizzate, ragion per cui occorre accogliere una concezione ampia ed evolutiva da un punto di vista tecnologico del tipo di comunicazioni contemplate da tale direttiva. Tenuto conto delle modalità di diffusione dei messaggi pubblicitari in discussione nel procedimento principale, la Corte dichiara che un siffatto modo di procedere costituisce un uso della posta elettronica idoneo a compromettere l’obiettivo di tutela degli utenti da interferenze nella loro vita privata mediante comunicazioni indesiderate a scopo di commercializzazione diretta.

In secondo luogo, la Corte considera che la natura stessa dei messaggi pubblicitari, i quali riguardano la promozione di servizi, nonché il fatto che siano diffusi sotto forma di messaggio di posta elettronica consentono di qualificare tali messaggi come «comunicazioni riguardanti la commercializzazione diretta». Secondo la Corte, la circostanza che il destinatario di detti messaggi pubblicitari venga scelto in modo aleatorio non ha rilevanza alcuna; ciò che importa è l’esistenza di una comunicazione a finalità commerciale che raggiunge direttamente e individualmente uno o più utenti di servizi di posta elettronica.

In terzo luogo, la Corte precisa che l’uso di posta elettronica a fini di commercializzazione diretta è consentito a condizione che il destinatario vi abbia preliminarmente acconsentito. Un siffatto consenso deve tradursi in una manifestazione di volontà libera, specifica e informata da parte della persona interessata. Il servizio di posta elettronica T-Online è proposto agli utenti sotto forma di due categorie di servizi di posta elettronica, ossia, da un lato, un servizio di posta elettronica gratuito, finanziato dalla pubblicità e, dall’altro, un servizio di posta elettronica a pagamento, senza pubblicità.

La Corte considera quindi che spetta al Bundesgerichtshof stabilire se l’utente interessato, avendo optato per la gratuità del servizio di posta elettronica T-Online, sia stato debitamente informato delle precise modalità di diffusione di una siffatta pubblicità e abbia effettivamente acconsentito a ricevere messaggi pubblicitari.

In quarto luogo, sebbene la Corte rilevi che la comparsa di tali messaggi pubblicitari nell’elenco dei messaggi di posta elettronica privati dell’utente ostacola l’accesso a detti messaggi in modo analogo a quello utilizzato per i messaggi di posta elettronica indesiderati (spam), essa nondimeno pone in evidenza che la direttiva 2002/58 non impone il requisito della constatazione che l’onere imposto all’utente va al di là di una molestia che gli sia causata. Al contempo la Corte dichiara che una tale visualizzazione di messaggi pubblicitari impone, in ogni caso, effettivamente un onere all’utente interessato.

Infine, la Corte considera che una pratica consistente nella visualizzazione di messaggi pubblicitari nella casella di posta in arrivo dell’utente di un servizio di posta elettronica, in una forma simile a quella di un vero e proprio messaggio di posta elettronica, rientra nella nozione di «ripetute e sgradite sollecitazioni commerciali» di cui alla direttiva 2005/29 se, da un lato, la visualizzazione di tali messaggi pubblicitari è avvenuta con frequenza e regolarità sufficienti per poter essere qualificata come sollecitazioni commerciali «ripetute» e se, dall’altro, può essere qualificata come sollecitazioni commerciali «sgradite» in mancanza di un consenso fornito preliminarmente dall’utente di cui trattasi.

(Fonte: Comunicato Stampa n. 210 del 25 Novembre 2021 della Corte di Giustizia della UE - Autore e Titolarità dei contenuti: Corte di Giustizia UE).
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