TUTELA DEI DATI PERSONALI
Corte Suprema di Cassazione: lecita l’installazione di una telecamera occulta sul luogo di lavoro per accertare condotte illecite del dipendente.
Con la sentenza n. 28613 del 5 agosto 2025, la Corte di Cassazione ha chiarito che può ritenersi legittima l’installazione, sul luogo di lavoro, di una telecamera nascosta non segnalata da cartellonistica e priva del preventivo accordo sindacale o dell’autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro, quando essa sia destinata a monitorare la condotta di un determinato dipendente nei cui confronti sussistano fondati sospetti di attività illecite a danno del patrimonio aziendale.
La regola generale, come noto, è che lo Statuto dei lavoratori (L. n. 300/1970) vieta in modo assoluto l’utilizzo di impianti audiovisivi o di altri strumenti diretti al controllo a distanza dell’ordinaria attività dei prestatori di lavoro. Tale disciplina è tuttora assistita da sanzione penale, in virtù del rinvio contenuto nell’art. 171 del d.lgs. n. 196/2003 (Codice della privacy).
Tuttavia, la Suprema Corte ha ribadito che il divieto non si estende ai cosiddetti controlli difensivi, finalizzati non già al monitoraggio della prestazione lavorativa, bensì alla salvaguardia dei beni e del patrimonio dell’impresa. Pertanto, non integra violazione dell’art. 4 dello Statuto l’installazione di sistemi di videosorveglianza destinati ad accertare comportamenti fraudolenti, purché:
- l’utilizzo dell’impianto sia strettamente circoscritto alla finalità di tutela patrimoniale;
- non si traduca in un controllo generalizzato o continuativo sull’adempimento della prestazione lavorativa;
- resti confinato a situazioni in cui vi siano sospetti concreti di gravi condotte illecite.
In questa prospettiva, il diritto del lavoratore alla riservatezza deve essere contemperato con l’esigenza dell’imprenditore di difendersi da furti o altre forme di lesione del proprio patrimonio. In tali circostanze, l’uso di una telecamera occulta non configura un controllo a distanza vietato, ma rappresenta un mezzo di prova volto a documentare l’attività illecita perpetrata all’interno dell’azienda.
La decisione, pertanto, conferma l’orientamento giurisprudenziale che distingue tra controlli diretti sull’attività lavorativa, sempre vietati se non autorizzati o concordati, e controlli difensivi, che restano ammissibili in quanto finalizzati alla protezione degli interessi aziendali e non soggetti a un generale divieto probatorio.